sabato 25 ottobre 2014

SEMINARIO: La medicalizzazione (e psichiatrizzazione) della vita - Alessandro Ricci

Nell'ambito del ciclo di seminari dal titolo “Non conformi – tracce per una critica della normalità”, sabato 25 ottobre si è tenuto a Verona il primo incontro.
Sotto il titolo “La medicalizzazione (e psichiatrizzazione) della vita”, il dottor Ricci ci ha accompagnati in un percorso all'insegna del pensiero critico sul tema della malattia e della normalità, seguendo le tracce di alcuni autori e delle loro rispettive opere.

- Ivan Illich
Il seminario è iniziato dalle riflessioni di Ivan Illich. La sua tesi principale è che la medicalizzazione della vita rappresenta la più pericolosa minaccia alla salute degli individui, da lui nominata “iatrogenensi”. Questo è infatti l'incipit di “Nemesi medica”: “La corporazione medica è diventata una grande minaccia per la salute.”
Mentre prima dell'insorgere dell'istituzione medica, ciascuno provvedeva da solo, con le conoscenze della comunità di appartenenza, alla gestione del proprio malessere e della propria malattia, oggi è diventato impossibile sottrarsi allo sguardo medico, e il rifiuto della cura viene considerato una forma di devianza, qualcosa che prelude all'isolamento sociale. E' quindi necessario dividere “sanità” e “salute” in modo molto netto.
E' evidente d'altra parte l'effetto totalizzante della diagnosi medica, e soprattutto della diagnosi psichiatrica: la diagnosi inchioda ciascuno e lo fa diventare altro da sé, un processo di sdoppiamento in cui si viene oggettivati dall'occhio medico (e parallelamente auto-oggettivati da parte di se stessi), in cui si viene espropriati della propria capacità di soggettivare persino il proprio dolore.
Quanto più le istituzioni gestiscono la nostra vita in modo diretto e industriale, tanto più aumenta la mancanza, quanto più aumenta l'offerta, tanto più ci accorgiamo che l'obiettivo non è più raggiungibile. Il tutto si riduce a un formidabile sistema di assoggettamento e di privazione della libertà. Detto ciò, è importante rendersi conto che siamo tutti immersi in questo sistema e che non possiamo farne a meno, ma che tuttavia dobbiamo anche criticarlo e sviluppare un pensiero critico: il soggetto è portato normalmente alla creatività e alla convivialità (nel senso di condivisione e comunanza), all'autonomia e alla libertà.
Da ciò consegue il tema dell'affrontamento del dolore e dell'affrontamento della morte: il primato della tecnica sottrae all'umanesimo il tema del dolore e della morte, due questioni sì naturali, ma anche culturali: ogni gruppo sociale, ogni comunità, ha imparato e sviluppato sistemi di affrontamento del dolore e della morte peculiari e funzionali, con lo scopo che la società possa sopravvivere a se stessa.
Diviene importante per ciascuno recuperare quelle opportunità di senso che la malattia può rappresentare nella storia di ognuno.


- Georges Canguilhem
Altro autore di riferimento nella discussione è stato George Canguilhem. Maestro di Foucault, nella sua opera “Il normale e il patologico” espone una critica stringente ad entrambi i concetti: continuamente, si entra e si esce dallo stato patologico, per cui definire lo stato di sano e di malato diventa impossibile. La normalità fisiologica non corrisponde allo stato di salute. Esiste una “polarità dinamica” in cui salute e malattia si confondono continuamente, e il soggetto malato è contemporaneamente portatore di entrambe le istanze.
Emerge il concetto di malattia come “errore”, di malattia originata da una casualità combinatoria, e di come questo cambi profondamente il rapporto con la malattia e con se stessi.
Inoltre, sottolinea la questione del bisogno di malattia: “il disturbo che nasce alla lunga dalla permanenza dello stato normale, la malattia che nasce dalla privazione di malattie … bisogno di malattia come prova della sanità … la minaccia della malattia è uno degli elementi che costituiscono la sanità.”


- Michel Foucault
Secondo Foucault, come individui, non possiamo sottrarci all'idea che ci sia un “normale” e un “non normale”, è nelle nostre categorie mentali, noi dividiamo il mondo in queste due categorie. Questo è un assoggettamento a cui non sappiamo sottrarci, ma che dobbiamo perlomeno problematizzare.

- Franco Basaglia
E' in questi temi che nell'esposizione si è inserito Franco Basaglia: l'utopia non l'ha solo pensata, ma l'ha fatta diventare pratica. Secondo lui l'istituzione del manicomio doveva essere distrutta: dovevano essere messi in crisi i suoi rappresentanti (soprattutto i medici) e la trasformazione di sé era in questo senso fondamentale per realizzare il cambiamento. Bisognava mettere tra parentesi la malattia e ritrovare l'uomo. Il trasformare se stessi mettendosi in crisi, l'essere imperfetti come fondamento della relazione con l'altro, esprime anche l'importanza del collettivo. La trasformazione di se stessi è la minima partenza per trasformare il reale. Basaglia, inoltre, era convinto che, avviato il processo di superamento dei manicomi, bisognava contaminare anche gli ospedali normali perché capiva che la prosecuzione naturale del discorso era quello.
Quale può essere dunque l'alternativa alla medicalizzazione diffusa? Emerge quindi il concetto di “clinica del legame sociale”, ossia “assunzione di una funzione terapeutica versatile adatta a mettersi accanto alla persona per accompagnarla nella comunità, lavorando sulle relazioni, sugli scambi, sulla rottura dell'isolamento e sulla inclusione, sulla negoziazione e sulla verbalizzazione dei conflitti: in definitiva, sulla crescita del capitale sociale di tutta la comunità.” (Colucci, “aut-aut” 340).
L'imperfezione suggerita da Basaglia non è ingenuità né grossolanità, ma il contrario: è una rinuncia consapevole. L'intento è mettere continuamente a confronto la società con i propri resti, e riappropriarsi del senso della propria malattia: i resti diventano risorse della comunità.

- Franca Basaglia
Chi maggiormente si era occupato di questi temi è stata la moglie di Basaglia, Franca, in particolare nel suo testo “Salute e malattia”. Franca Basaglia scriveva: “la malattia può acquistare significati diversi, diventando una risposta a ciò che la vita non è o non dà.” E ancora: “per noi, per la nostra cultura, la malattia è morte perché la vita continua ad essere rappresentata solo dalla salute assoluta.”


Gli spunti di riflessione conclusivi ci sono giunti dai meno noti Ehrenberg e Rose.

- Alain Ehrenberg
Ehrenberg approfondisce il tema della depressione per aprire una discussione sulla psichiatrizzazione della vita. Nel suo libro “La fatica di essere se stessi” l'autore si interroga sull'espansione della patologia depressiva negli ultimi anni e in che modo ci può rivelare i mutamenti dell'individualità dal secolo scorso.


- Nikolas Rose
Rose argomenta nel suo libro “La politica della vita” come l'investimento sulla medicalizzazione e sulla psichiatrizzazione non sia solo economico, ma anche politico, e su quanto sia facile il passaggio dall'aspetto scientifico a quello politico.



La "critica della normalità", il filone conduttore di tutto il ciclo di seminari, può sembrare un concetto antiquato, ma l'interesse nel riproporlo consiste non nel ritorno a una realtà storica e culturale già passata, bensì nello stimolare un rapporto migliore con la storia recente. E per restituire alle storie personali il senso di appartenenza comune, solidale e consapevole.

sabato 13 settembre 2014

Follia e modernità - Louis A. Sass

Il 13 settembre presso la Scuola di Psicoterapia e Fenomenologia Clinica a Firenze è stato ospite il prof. Louis A. Sass che ha presentato il suo testo “Follia e moderntà – La pazzia alla luce dell’arte, della letteratura e del pensiero moderni”. Il prof. Sass insegna psicologia clinica presso la Rutger University (New Jersey) e svolge un’attività di ricerca che include un interessamento all’intersecarsi della psicologia clinica con la filosofia, l’arte, gli studi letterari e culturali.

La giornata, moderata dal prof. Giovanni Stanghellini, è iniziata con un’introduzione del prof. Arnaldo Ballerini presentando una descrizione magistrale del mondo schizofrenico, la “perdita dell’evidenza naturale”, e di come “il quotidiano, i vari modi di essere nella quotidianità, e addirittura la presenza corporea, sembrano quasi cessare di esistere, allorché non esiste quasi più il mondo degli altri esseri umani”. Fino a come alcune caratteristiche delle schizofrenia possono essere rievocate in taluni aspetti del modernismo e del postmodernismo in cui, dice Ballerini, “l’Io si libera dalle normali forme di coinvolgimento nel mondo e nella natura”.

Così, anche il prof. Sass nel prologo del suo libro si domanda: [nell'immaginario occidentale] “Quasi sempre la follia comporta un mutamento dall'umano all'animale, dalla cultura alla natura, dal pensiero all'emozione, dalla maturità al puerile e all'arcaico. [...] E se la follia, almeno in alcune sue forme, dovesse derivare da un'intensificazione piuttosto che da un offuscamento della consapevolezza cosciente, e fosse un'alienazione non dalla ragione, ma dalle emozioni, dagli istinti e dal corpo?" Una visione quindi che non considera la follia come perdita delle razionalità, perdita della “ragione” come sintesi delle facoltà intellettive superiori, ma piuttosto come iper-razionalismo e iper-riflessività.  "[...] la schizofrenia comporta davvero, in realtà, una sorta di morte-in-vita, sebbene non del tipo generalmente immaginato: perché ciò che muore in questi casi non è tanto l'anima razionale quanto quella passionale, non tanto gli aspetti mentali del proprio essere quanto quelli fisici ed emozionali; questo provoca un distacco dai naturali ritmi del corpo e l'intrappolarsi in una sorta di vigilanza morbosa o ipercoscienza", prosegue Sass nel prologo del suo libro. E così "[...] gradualmente emerge una delle grandi ironie del pensiero moderno: la follia della schizofrenia - così spesso immaginata come antitetica al malessere moderno, pur offrendo una fuga potenziale dai suoi dilemmi di ipercoscienza e autocontrollo - può, in realtà, essere un'estrema manifestazione di quella che, in sostanza, è una condizione molto simile."

Durante la mattinata, il prof. Sass ha esposto tali peculiarità della schizofrenia concentrandosi anche sull’aspetto linguistico dei pazienti schizofrenici, in quanto “le anormalità linguistiche tipiche della schizofrenia appaiono riflettere molti dei cambiamenti strutturali sottostanti nella soggettività”, “ritrovando [rispetto alla mania e alla melanconia] una più completa alienazione dalla realtà del senso comune e dal significato della normale conversazione”. In questo senso, fa un’analogia  con la poesia: dice Sass “la poesia è tutta iper-riflessività, ha a che fare con il suono delle parole, non è il parlare di un essere umano ad un altro essere umano, ma è l’ascoltare di un essere umano un altro essere umano che parla con se stesso”.

giovedì 5 giugno 2014

Etnografia del quotidiano - Marco Aime

Giovedì 5 giugno, nell’ambito di “Brutti Caratteri”, X festival di editoria e culture indipendenti, presso la libreria “Libre!” è stato presentato il volume “Etnografia del quotidiano. Uno sguardo antropologico sull’Italia che cambia” di Marco Aime, antropologo, docente di antropologia culturale all’Università di Genova, conduttore di ricerche sul campo in Benin, Burkina Faso e Mali e già autore di numerosi articoli e libri.

“Troppo spesso l’accademia è autoreferenziale” inizia Aime, perciò “fare un’analisi antropologica della società è per dare uno stimolo”. Ed ecco quindi come la parata del 2 giugno, la percezione della Borsa e del potere finanziario o lo sviluppo del sistema ferroviario nazionale diventano metafore per capire l’evoluzione della società italiana: Aime racconta ciascuno di questi descrivendoli in una cornice etnologica ed antropologica, nelle sue contraddizioni e nelle sue trasformazioni, ponendo le tematiche come spunto di riflessione sulla struttura della nostra società, della nostra democrazia, del nostro sistema economico. Infine, dopo il crollo delle grandi ideologie del ‘900, di fronte alle percepite minacce della globalizzazione che inducono la paura di perdersi e il ritorno a “nuovi tribalismi”, Aime ci ricorda come “la storia dell’umanità è storia di migrazioni”, perché “abbiamo piedi, non radici!”

Dall’introduzione: “Due aspetti emergono in maniera forte da questi saggi: il primo è l’immagine di una società che sembra non credere ai propri stessi principi, che presenta una struttura ufficiale debole, ma una forte, sebbene disarticolata antistruttura, che agisce in modo disordinato, impedendo il nascere di una coscienza collettiva. Il secondo, conseguenza del primo, è la criticità del rapporto tra Stato e cittadino, che nel nostro paese conserva ancora tratti caratteristici di regimi autoritari, anche se celati nelle pieghe della legalità.”

venerdì 30 maggio 2014

I dannati della metropoli - Andrea Staid

Venerdì 30 maggio, nell’ambito di “Veronetta Ribolle”, III festival delle associazioni culturali di Veronetta, presso la libreria “Libre!” è stato presentato il volume “I dannati della metropoli – Etnografie dei migranti ai confini della legalità” di Andrea Staid, storico e antropologo, editor della casa editrice Eleuthera, autore di articoli su diverse riviste. Ha scritto anche “Gli arditi del popolo” e “Le nostre braccia. Antropologia delle nuove schiavitù”.

“I dannati della metropoli” è costruito secondo una “struttura narrativa con l’intento di accompagnare il lettore nel viaggio”, dice Staidt. E sul metodo della sua ricerca aggiunge che “non esiste una scienza sociale perfetta”, che quello che usa è un “metodo impuro e multidisciplinare”, mescolando nella narrazione l’antropologia, la storia, dati e cartine.
In questo lavoro, Andrea Staid ripercorre il viaggio attraverso le storie dei migranti, un viaggio spesso disperato e lungo anni, fino al possibile esito nei CIE e nelle carceri, e nella marginalità delle città. Città che da sempre sono due città, una legale e l’altra illegale, i cui confini si spostano a seconda delle epoche storiche e delle necessità economiche contingenti.
L’autore ha infatti trascorso periodi a Lampedusa e con i migranti dei CIE, che descrive come “lager di stato”, “galere etniche”, “luoghi di disumanizzazione e tortura”. Luoghi costruiti dallo Stato, in cui “la gestione del legale diventa illegale”. E lo status giuridico di questi migranti si trasforma, dagli ostacoli nel riconoscimento dello status di rifugiato politico, all’impossibilità di usufruire dei diritti di cittadino fino al reato di clandestinità, con alti rischi di arresto e detenzione. Ecco che questi migranti diventano le “non-persone” descritte dal noto sociologo Alessandro Dal Lago. In questa situazione, prosegue Staid, “si crea una nuova schiavitù”, come quella del lavoro in nero. Oppure il migrante può “darsi alla microcriminalità”, quando paradossalmente “la scelta più razionale da uomo economico è quella di delinquere”. Si crea una circostanza per cui “lo stato spinge alla delinquenza a quel bivio in cui il rischio di finire in galera è altissimo”. E addirittura, racconta Staid, “le testimonianze sono che il carcere è molto meglio del CIE, è una scuola sì per imparare a delinquere, ma anche per imparare a capire i propri diritti, fare relazione”. A questo proposito, l’autore riferisce come, secondo i dati, nel centro-nord la maggioranza dei carcerati non è italiano, ma, andando a vedere quali sono i reati più frequenti, le imputazioni sono principalmente per danni alla proprietà (spesso piccoli furti), oltraggio, resistenza, spaccio. Piccoli reati, dunque, le cui dinamiche in realtà vedono svantaggiati i migranti, che, a parità di effrazione, sono più facilmente individuati e additati. E che, quindi, più facilmente rischiano di finire in carcere.
Andrea Staid termina parlando dei due anni trascorsi frequentando il palazzo di via Bligny 42 a Milano, noto come “fortino della droga”, a pochi isolati dal centro e nei pressi della nota università Bocconi. In questo palazzo ha raccolto “racconti di persone che escono dal confine della legalità”. Un luogo in cui si concretizza questo esito delinquenziale, dove “il delinquere non è una rivolta sociale ma un rituale di resistenza”, ma che parallelamente palesa la convivenza esplicita del legale con l’illegale. L’esempio è, appunto, quello dello spaccio: sono i cittadini della città legale che si riforniscono di droga nella città illegale! Tuttavia, il palazzo di via Bligny 42 si rivela anche un laboratorio “non di integrazione, ma di ibridazione”, di coppie miste e cibo etnico condiviso. E’ così che accade il “decostruire dalle piccole cose quotidiane il razzismo istituzionalizzato”.

martedì 20 maggio 2014

Conferenze brasiliane - Franco Basaglia

Il 20 maggio è venuto a trovarci al nostro gruppo di lettura il dott. Alessandro Ricci di Psichiatria Democratica. Con lui abbiamo discusso sulle “Conferenze brasiliane” di Franco Basaglia.

Queste conferenze, che Franco Basaglia tenne a San Paolo, Rio de Janeiro e Belo Horizonte nel 1979, sono la testimonianza di una delle sue ultime occasioni di riflessione pubblica sul significato complessivo dell’impresa della sua vita e ripropongono i temi ancora attuali che avevano portato alle “legge 180”, delle ragioni e dei metodi di chi aveva voluto quella riforma e ne aveva preparato il terreno. Uno spunto per guardare in un’ottica di rinnovamento anche alla psichiatria oggi.

“Il problema invece è che non si sa cosa sia la psichiatria, questo è il problema: che noi dobbiamo ripensare il problema dell’uomo.” Belo Horizonte, 17 novembre 1979

Tra i vari argomenti vi sono il ruolo dello psichiatra come membro attivo nella società e nelle scelte politiche, soprattutto alla luce del fatto che oggi sempre più spesso la psichiatria e la psicologia sono chiamate ad esprimersi su questioni che paiono andare oltre la psicopatologia da libro di testo, più vicine alle questioni legate alle trasformazioni della società e alla crisi economica.

“Noi vogliamo essere psichiatri, ma vogliamo soprattutto essere delle persone impegnate, dei militanti. O meglio, vogliamo trasformare, cambiare il mondo attraverso il nostro specifico, attraverso la miseria dei nostri pazienti che sono parte della miseria del mondo. Quando diciamo no al manicomio, noi diciamo no alla miseria del mondo e ci uniamo a tutte le persone che nel mondo lottano per una situazione di emancipazione.” San Paolo, 19 giugno 1979.

“Dobbiamo essere contro questa società che distrugge la persona e uccide chi non ha i mezzi per difendersi. In un certo senso, viviamo in una società che sembra un manicomio e siamo dentro questo manicomio, internati che lottano per la libertà.” San Paolo, 22 giugno 1979

Alcune delle domande che ci siamo posti: cosa distingue oggi un “caso sociale” da un “caso psichiatrico”? Si può dire che la psichiatria è riuscita nel suo intento di essere parificata alle altre branche della medicina? Se sì, ciò è da considerarsi un successo o un impoverimento? E ancora: qual è oggigiorno il rapporto tra psichiatria e potere? E tra psichiatria e controllo sociale? Di contro, invece, appaiono ormai anacronistici gli aspetti di lotta di classe rievocati nelle Conferenze, che hanno però il valore di riportarci alla cornice storica in cui nasce la riforma basagliana.

“Come la medicina si è edificata su un corpo morto, così la psichiatria si è costruita su una mente morta.” San Paolo, 21 giugno 1979

“Il medico è colui che dà le medicine, ma soprattutto è una persona che può dare un senso alla vita del malato in quanto riesce ad avere una relazione diversa con lui.” San Paolo, 22 giugno 1979

“La medicina deve essere esercitata dal medico come mediatore della relazione tra la società e il malato.” Rio de Janeiro, 29 giugno 1979

Vogliamo invece che la medicina esprima qualcosa che va oltre il corpo, qualcosa che sia espressione del sociale, qualcosa che prenda in considerazione l’organizzazione nella quale viviamo. Io non penso che l’uomo sia fatto esclusivamente di psicologico, o esclusivamente di un corpo biologico. Non credo nemmeno, d’altra parte, che sia fatto solo di sociale. Credo che l’uomo sia il risultato di una integrazione di tutti questi livelli e, prendendo in considerazione tutti questi fattori, noi medici dobbiamo essere allo stesso tempo biologi, psicologi, sociologi. Se non succede questo, saremo sempre dei torturatori dei malati.” Rio de Janeiro, 29 giugno 1979

Abbiamo riflettuto quindi anche sul significato di malattia mentale, se e come è cambiata dall’epoca dei manicomi ad oggi. In questo senso, cosa porta verso la cronicità? Essa è contenuta nella patologia, come “decorso” inevitabile, o è un “artefatto” legato ad un approccio che la favorisce? Ricordando come in manicomio il “domani” della dimissione era un futuro sempre posticipato e di come ancora oggi la malattia mentale evoca prognosi di involuzione e regressione, in che termini si può oggi parlare di guarigione in psichiatria?

“Ma noi medici, che siamo istruiti nelle università per curare le malattie, non sappiamo cos’è la salute, sappiamo solo cos’è la malattia. Ma se vogliamo cambiare veramente le cose dobbiamo incominciare a imparare all’università cosa vuol dire il sociale nella medicina, perché l’uomo non è fatto di corpo – è fatto anche di corpo – ma è fatto di sociale, e nel momento in cui il sociale entra nella medicina il medico non capisce più niente, perché è abituato a pensare che il suo malato sia un corpo malato […].” Belo Horizonte, 21 novembre 1979

E’ qui che si inserisce allora l’importanza del fare. Il dott. Ricci ci ricorda come tutta la rivoluzione in quegli anni era fatta di piccoli gesti quotidiani, che però erano gesti rivoluzionari perché rovesciavano completamente lo schema. Si affermava con forza che la vita materiale è importante, riconducendo la patologia al suo contesto, che è il motivo per cui i nostri Servizi hanno una referenza territoriale. L’idea forte della riforma e di tutta la psichiatria di comunità era che ci fosse il referente territoriale perché i contesti in cui la patologia accade sono rilevanti per farla accadere. E ricollocare la storia in una Storia con la “S” maiuscola è uno dei modi per contrastare la separatezza.

“Allora io propongo l’alternativa seguente: dal pessimismo della ragione all’ottimismo della pratica.” San Paolo, 18 giugno 1979

“La verità sta nella nostra pratica quotidiana, nella rottura dei preconcetti, nel prendere le distanze dal pessimismo della nostra ragione facendoci forza per mettere in atto una pratica ottimista.” San Paolo, 21 giugno 1979

“Io penso invece di essere uno psichiatra perché il mio ruolo è di psichiatra, e attraverso questo ruolo voglio fare la mia battaglia politica. Per me battaglia politica vuol dire battaglia scientifica, perché noi tecnici delle scienze umane dobbiamo edificare una scienza nuova che deve partire dalla ricerca dei bisogni della popolazione.” Belo Horizonte, 17 novembre 1979

mercoledì 7 maggio 2014

Esercitazioni sulla follia. L'approccio dialettico-relazionale in psichiatria. - Graziano Valent

Mercoledì 7 maggio si è tenuto a Verona, presso la libreria "Pagina 12" il terzo ed ultimo incontro degli "Esercizi di Psichiatria Critica". Gli incontri sono stati organizzati da "Associazione inTransito", "Cooperativa Sociale Panta Rei" e "Psichiatria Democratica" come occasione per presentare/discutere tre volumi recenti e con  lo scopo (come espresso nella locandina) di "discutere insieme in modo aperto ed amichevole di quegli aspetti così complessi ma insieme affascinanti che sono la trama del lavoro quotidiano nel campo della salute mentale. La relazione e la presa in carico, il dialogo con la follia, il lavoro di gruppo, la sofferenza e la sua cura, le storie e la Storia."

E’ possibile delineare un modo della cura che sia all'altezza della follia, che per sua natura scardina tutto ciò che è positivo, lineare, logico?
Gli Autori di questo testo, a cura di Graziano Valent, propongono di guardare alle contraddizioni della follia come a figure essenziali dell’umano e di misurarsi nel rapporto terapeutico con chi sfida i confini del senso facendosi guidare dalla dialettica. Dialettica “intesa come teoria del senso, ossia come logica della realtà e insieme del significato”, che nella definizione del filosofo Italo Valent è descritta come “un altro vocabolo greco foriero di grandiosi sviluppi […] dice essenzialmente tre cose: 1) il divincolarsi delle cose l’una dall'altra, l’una contro l’altra, come un dispiegarsi che tutto congiunge e governa; 2) nel vincolo così concepito si realizza tanto l’identità quanto la differenza delle cose; 3) la necessità del divincolante di divincolarsi è tale da impegnare anche se stessa. Tutto ciò chiamiamo anche ‘relazione’.”
Argomenti sui significati della follia e della relazione di cura elaborati in conferenze, lezioni, seminari, conversazioni private. Il pensiero dialettico di Italo Valent si ritrova così in relazione con l’azione rivoluzionaria di Franco Basaglia, in cui l’etica del filosofo e la concreta utopia basagliana si riconoscono nelle sue stesse parole: “Piena realizzazione di un’etica della follia sarebbe il passaggio dalla liberazione dalla follia alla liberazione della follia: cioè il passaggio dalla cura alla condivisione, dalla restrizione e separazione della follia al suo pieno diritto di cittadinanza.”
Prendendo corpo in una pratica territoriale audace e responsabile, l’approccio dialettico-relazionale mostra l’unità di senso-nonsenso, ragione-sragione, identità-differenza, soggetto-oggetto, parte-tutto, e insieme indica un modo di accogliere e curare il folle nel segno della possibilità.

giovedì 10 aprile 2014

Vieri Marzi, Scritti scelti 1968-2001. Psichiatria, Filosofia, Politica - Alessandro Ricci

Giovedì 10 aprile si è tenuto a Verona, presso la libreria "Pagina 12" il secondo incontro degli "Esercizi di Psichiatria Critica". Gli incontri sono stati organizzati da "Associazione inTransito", "Cooperativa Sociale Panta Rei" e "Psichiatria Democratica" come occasione per presentare/discutere tre volumi recenti e con  lo scopo (come espresso nella locandina) di "discutere insieme in modo aperto ed amichevole di quegli aspetti così complessi ma insieme affascinanti che sono la trama del lavoro quotidiano nel campo della salute mentale. La relazione e la presa in carico, il dialogo con la follia, il lavoro di gruppo, la sofferenza e la sua cura, le storie e la Storia."

Questo volume, a cura di Cesare Bondioli, Alessandro Ricci, Maria Pia Teodori, Paolo Tranchina, raccoglie una serie di scritti scelti tra il 1968 e il 2001. Vieri Marzi è stato un protagonista della riforma psichiatrica italiana e tra i fondatori di Psichiatria Democratica, redattore dei Fogli di Informazione e dedicatosi anche alla didattica con l’associazione fiorentina Psicoterapia Concreta, nata nel 1989 come gruppo di ricerca e di lavoro a partire, come si legge nell’introduzione di Alessandro Ricci, “dalla esigenza di provare a risolvere l’insoddisfazione da un lato per le correnti e le teorie psicologiche sulla normalità e la malattia, dall’altro per i livelli di teorizzazione delle pratiche antistituzionali italiane”. A partire dagli insegnamenti della psichiatria antistituzionale, Vieri Marzi si è confrontato con i temi più ardui: il rapporto soggetto-oggetto, la relazione terapeutica, il singolo e il gruppo, il delirio. Da qui, “visto l’oblio, tranne situazioni occasionali, in cui le esperienze italiane di superamento del manicomio e di costruzione dei servizi di salute mentale innovativi sono finite […] la pubblicazione di questi scritti si pone più come un punto di partenza che di arrivo; la speranza cioè non è solo quella di stimolare riflessioni su temi complessi, ma anche di suscitare curiosità, voglia di conoscere più da vicino, da parte degli operatori che oggi sono impegnati nei servizi, una esperienza che è rimasta unica nel panorama internazionale, e che, ancora oggi, anzi, tanto più oggi, ha ancora tantissimo da insegnare.”

“Viviamo come se la nostra mente fosse individuale invece siamo gruppo.” Vieri Marzi

giovedì 27 marzo 2014

Quarant'anni di Fogli d'Informazione. Psichiatria, Psicoterapia, Istituzioni - Paolo Tranchina

Giovedì 27 marzo si è tenuto a Verona, presso la libreria "Pagina 12" il primo incontro degli "Esercizi di Psichiatria Critica". Gli incontri sono stati organizzati da "Associazione inTransito", "Cooperativa Sociale Panta Rei" e "Psichiatria Democratica" come occasione per presentare/discutere tre volumi recenti e con  lo scopo (come espresso nella locandina) di "discutere insieme in modo aperto ed amichevole di quegli aspetti così complessi ma insieme affascinanti che sono la trama del lavoro quotidiano nel campo della salute mentale. La relazione e la presa in carico, il dialogo con la follia, il lavoro di gruppo, la sofferenza e la sua cura, le storie e la Storia."

“La rivista Fogli di Informazione nasce a Milano, all’inizio degli anni 1970, da un doppio incontro, con Franco Basaglia a Londra e Edimburgo – per un servizio televisivo con Mario Mariani sulle esperienze antipsichiatriche inglesi, Ronald Laing, David Cooper, e la comunità terapeutica di Maxwell Jones, in Scozia – e con Agostino Pirella e la sua equipe, all’OP di Gorizia.” racconta Paolo Tranchina nella prima parte del volume “[...] ogni numero era legato anche ad un dibattito […]. Questi dibattiti itineranti hanno avuto molta importanza nel socializzare le conoscenze, verificare le contraddizioni, confrontare pratiche e modelli di intervento, sostenere esperienze isolate, ricoprendo un ruolo di rilievo nella diffusione di Psichiatria Democratica. Numero dopo numero, per 40 anni, i Fogli sono stati strumento di diffusione e pensiero critico del movimento antiistituzionale italiano. […] sono stati insomma […] una specie di network, rete di comunicazione, Internet degli anni ’70-’80. Come tali, il loro ruolo è stato insostituibile per tenere insieme e rafforzare il movimento, scambiare notizie, informazioni, affetti, fare verifiche, progetti, inventare utopie.”
Il volume, a cura di Paolo Tranchina e Maria Pia Teodori, ha lo scopo di fare “il punto della situazione attuale” e ricordare come “i Fogli intendono continuare a coniugare opposti inconciliabili”, guardando quindi al passato per portare ancora avanti rete, scambio, idee, movimento. Tra le pagine si affrontano così i temi salienti della salute mentale e della pratica nei Servizi, ripercorrendo la storia della psichiatria italiana. “Come custodi della nostra memoria, dei nostri tragitti pratico-teorici, i Fogli sono una parte fondamentale della nostra storia a cui tornare, su cui soffermarci, riflettere in profondità per continuare a ripartire.”

venerdì 7 febbraio 2014

Schiave del potere - Lydia Cacho

Per il prossimo incontro abbiamo selezionato il libro di Lydia Cacho "Schiave del potere".
Il testo affronta il problema della tratta di persone a scopo di prostituzione. Lydia Cacho è una giornalista e scrittrice messicana che ha effettuato un viaggio attraverso Turchia, Palestina, Israele, Giappone, Cambogia, Cina, Birmania, Argentina e Messico, allo scopo di documentare le differenti modalità con cui si manifesta il fenomeno della tratta nei vari paesi. Il libro è corredato di interviste a prostitute, membri di governo, delle forze dell'ordine e trafficanti. Lydia Cacho ha ricevuto parecchie minacce volte a impedirle di proseguire nelle sue indagini, è stata imprigionata e torturata e dal 2005 vive sotto scorta.

Qui trovate un'intervista all'autrice.

giovedì 19 dicembre 2013

Primo, non curare chi è normale. Contro l'invenzione delle malattie - Frances Allen

Per il prossimo incontro si propone di imbastire qualcosa sulla discussa pubblicazione del nuovo DSM. Il titolo proposto è "Primo, non curare chi è normale" un j'accuse/mea culpa scritto da un pulpito d'eccezione: Francis Allen ha diretto la redazione del DSM-IV.

Dalla quarta di copertina:
"Considerato dagli psichiatri di tutto il mondo il testo imprescindibile di riferimento, il DSM (Diagnostic and Statistical Manual), pubblicato dalla American Psychiatric Association e tradotto in decine di lingue, è la fonte primaria che definisce il limite tra ciò che è normale e ciò che è patologico in relazione alla psiche. Passato attraverso quattro edizioni, il manuale è giunto ora alla quinta stesura, il DSM-5, ma questa volta la pubblicazione ha scatenato feroci e allarmanti polemiche. A capo dei critici più agguerriti si trova Allen Frances, l'autore di questo libro, scienziato autorevole e psichiatra tra i più apprezzati, che sa bene di cosa parla, dal momento che proprio lui aveva diretto la redazione del precedente DSM-IV. Secondo la sua analisi, precisa e convincente, la nuova edizione del manuale diagnostico rischia di fare più male che bene. L'impostazione del volume allarga infatti a tal punto lo spettro delle patologie psichiche da lasciare ben poco spazio alla "normalità", che quasi scompare. Siamo tutti malati: un regalo alle industrie degli psicofarmaci e una resa di fronte alla crescente medicalizzazione della società, divenuta sempre meno capace di gestire serenamente fenomeni comuni, che sono sempre esistiti, come il lutto, l'invecchiamento o la naturale vivacità dei giovani. Si moltiplicano invece le diagnosi di patologie per ogni comportamento, perdendo in questo modo la visione pluralista dell'universo psichico e forse condannando in futuro milioni di persone a cure non necessarie."