martedì 20 maggio 2014

Conferenze brasiliane - Franco Basaglia

Il 20 maggio è venuto a trovarci al nostro gruppo di lettura il dott. Alessandro Ricci di Psichiatria Democratica. Con lui abbiamo discusso sulle “Conferenze brasiliane” di Franco Basaglia.

Queste conferenze, che Franco Basaglia tenne a San Paolo, Rio de Janeiro e Belo Horizonte nel 1979, sono la testimonianza di una delle sue ultime occasioni di riflessione pubblica sul significato complessivo dell’impresa della sua vita e ripropongono i temi ancora attuali che avevano portato alle “legge 180”, delle ragioni e dei metodi di chi aveva voluto quella riforma e ne aveva preparato il terreno. Uno spunto per guardare in un’ottica di rinnovamento anche alla psichiatria oggi.

“Il problema invece è che non si sa cosa sia la psichiatria, questo è il problema: che noi dobbiamo ripensare il problema dell’uomo.” Belo Horizonte, 17 novembre 1979

Tra i vari argomenti vi sono il ruolo dello psichiatra come membro attivo nella società e nelle scelte politiche, soprattutto alla luce del fatto che oggi sempre più spesso la psichiatria e la psicologia sono chiamate ad esprimersi su questioni che paiono andare oltre la psicopatologia da libro di testo, più vicine alle questioni legate alle trasformazioni della società e alla crisi economica.

“Noi vogliamo essere psichiatri, ma vogliamo soprattutto essere delle persone impegnate, dei militanti. O meglio, vogliamo trasformare, cambiare il mondo attraverso il nostro specifico, attraverso la miseria dei nostri pazienti che sono parte della miseria del mondo. Quando diciamo no al manicomio, noi diciamo no alla miseria del mondo e ci uniamo a tutte le persone che nel mondo lottano per una situazione di emancipazione.” San Paolo, 19 giugno 1979.

“Dobbiamo essere contro questa società che distrugge la persona e uccide chi non ha i mezzi per difendersi. In un certo senso, viviamo in una società che sembra un manicomio e siamo dentro questo manicomio, internati che lottano per la libertà.” San Paolo, 22 giugno 1979

Alcune delle domande che ci siamo posti: cosa distingue oggi un “caso sociale” da un “caso psichiatrico”? Si può dire che la psichiatria è riuscita nel suo intento di essere parificata alle altre branche della medicina? Se sì, ciò è da considerarsi un successo o un impoverimento? E ancora: qual è oggigiorno il rapporto tra psichiatria e potere? E tra psichiatria e controllo sociale? Di contro, invece, appaiono ormai anacronistici gli aspetti di lotta di classe rievocati nelle Conferenze, che hanno però il valore di riportarci alla cornice storica in cui nasce la riforma basagliana.

“Come la medicina si è edificata su un corpo morto, così la psichiatria si è costruita su una mente morta.” San Paolo, 21 giugno 1979

“Il medico è colui che dà le medicine, ma soprattutto è una persona che può dare un senso alla vita del malato in quanto riesce ad avere una relazione diversa con lui.” San Paolo, 22 giugno 1979

“La medicina deve essere esercitata dal medico come mediatore della relazione tra la società e il malato.” Rio de Janeiro, 29 giugno 1979

Vogliamo invece che la medicina esprima qualcosa che va oltre il corpo, qualcosa che sia espressione del sociale, qualcosa che prenda in considerazione l’organizzazione nella quale viviamo. Io non penso che l’uomo sia fatto esclusivamente di psicologico, o esclusivamente di un corpo biologico. Non credo nemmeno, d’altra parte, che sia fatto solo di sociale. Credo che l’uomo sia il risultato di una integrazione di tutti questi livelli e, prendendo in considerazione tutti questi fattori, noi medici dobbiamo essere allo stesso tempo biologi, psicologi, sociologi. Se non succede questo, saremo sempre dei torturatori dei malati.” Rio de Janeiro, 29 giugno 1979

Abbiamo riflettuto quindi anche sul significato di malattia mentale, se e come è cambiata dall’epoca dei manicomi ad oggi. In questo senso, cosa porta verso la cronicità? Essa è contenuta nella patologia, come “decorso” inevitabile, o è un “artefatto” legato ad un approccio che la favorisce? Ricordando come in manicomio il “domani” della dimissione era un futuro sempre posticipato e di come ancora oggi la malattia mentale evoca prognosi di involuzione e regressione, in che termini si può oggi parlare di guarigione in psichiatria?

“Ma noi medici, che siamo istruiti nelle università per curare le malattie, non sappiamo cos’è la salute, sappiamo solo cos’è la malattia. Ma se vogliamo cambiare veramente le cose dobbiamo incominciare a imparare all’università cosa vuol dire il sociale nella medicina, perché l’uomo non è fatto di corpo – è fatto anche di corpo – ma è fatto di sociale, e nel momento in cui il sociale entra nella medicina il medico non capisce più niente, perché è abituato a pensare che il suo malato sia un corpo malato […].” Belo Horizonte, 21 novembre 1979

E’ qui che si inserisce allora l’importanza del fare. Il dott. Ricci ci ricorda come tutta la rivoluzione in quegli anni era fatta di piccoli gesti quotidiani, che però erano gesti rivoluzionari perché rovesciavano completamente lo schema. Si affermava con forza che la vita materiale è importante, riconducendo la patologia al suo contesto, che è il motivo per cui i nostri Servizi hanno una referenza territoriale. L’idea forte della riforma e di tutta la psichiatria di comunità era che ci fosse il referente territoriale perché i contesti in cui la patologia accade sono rilevanti per farla accadere. E ricollocare la storia in una Storia con la “S” maiuscola è uno dei modi per contrastare la separatezza.

“Allora io propongo l’alternativa seguente: dal pessimismo della ragione all’ottimismo della pratica.” San Paolo, 18 giugno 1979

“La verità sta nella nostra pratica quotidiana, nella rottura dei preconcetti, nel prendere le distanze dal pessimismo della nostra ragione facendoci forza per mettere in atto una pratica ottimista.” San Paolo, 21 giugno 1979

“Io penso invece di essere uno psichiatra perché il mio ruolo è di psichiatra, e attraverso questo ruolo voglio fare la mia battaglia politica. Per me battaglia politica vuol dire battaglia scientifica, perché noi tecnici delle scienze umane dobbiamo edificare una scienza nuova che deve partire dalla ricerca dei bisogni della popolazione.” Belo Horizonte, 17 novembre 1979

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