sabato 25 ottobre 2014

SEMINARIO: La medicalizzazione (e psichiatrizzazione) della vita - Alessandro Ricci

Nell'ambito del ciclo di seminari dal titolo “Non conformi – tracce per una critica della normalità”, sabato 25 ottobre si è tenuto a Verona il primo incontro.
Sotto il titolo “La medicalizzazione (e psichiatrizzazione) della vita”, il dottor Ricci ci ha accompagnati in un percorso all'insegna del pensiero critico sul tema della malattia e della normalità, seguendo le tracce di alcuni autori e delle loro rispettive opere.

- Ivan Illich
Il seminario è iniziato dalle riflessioni di Ivan Illich. La sua tesi principale è che la medicalizzazione della vita rappresenta la più pericolosa minaccia alla salute degli individui, da lui nominata “iatrogenensi”. Questo è infatti l'incipit di “Nemesi medica”: “La corporazione medica è diventata una grande minaccia per la salute.”
Mentre prima dell'insorgere dell'istituzione medica, ciascuno provvedeva da solo, con le conoscenze della comunità di appartenenza, alla gestione del proprio malessere e della propria malattia, oggi è diventato impossibile sottrarsi allo sguardo medico, e il rifiuto della cura viene considerato una forma di devianza, qualcosa che prelude all'isolamento sociale. E' quindi necessario dividere “sanità” e “salute” in modo molto netto.
E' evidente d'altra parte l'effetto totalizzante della diagnosi medica, e soprattutto della diagnosi psichiatrica: la diagnosi inchioda ciascuno e lo fa diventare altro da sé, un processo di sdoppiamento in cui si viene oggettivati dall'occhio medico (e parallelamente auto-oggettivati da parte di se stessi), in cui si viene espropriati della propria capacità di soggettivare persino il proprio dolore.
Quanto più le istituzioni gestiscono la nostra vita in modo diretto e industriale, tanto più aumenta la mancanza, quanto più aumenta l'offerta, tanto più ci accorgiamo che l'obiettivo non è più raggiungibile. Il tutto si riduce a un formidabile sistema di assoggettamento e di privazione della libertà. Detto ciò, è importante rendersi conto che siamo tutti immersi in questo sistema e che non possiamo farne a meno, ma che tuttavia dobbiamo anche criticarlo e sviluppare un pensiero critico: il soggetto è portato normalmente alla creatività e alla convivialità (nel senso di condivisione e comunanza), all'autonomia e alla libertà.
Da ciò consegue il tema dell'affrontamento del dolore e dell'affrontamento della morte: il primato della tecnica sottrae all'umanesimo il tema del dolore e della morte, due questioni sì naturali, ma anche culturali: ogni gruppo sociale, ogni comunità, ha imparato e sviluppato sistemi di affrontamento del dolore e della morte peculiari e funzionali, con lo scopo che la società possa sopravvivere a se stessa.
Diviene importante per ciascuno recuperare quelle opportunità di senso che la malattia può rappresentare nella storia di ognuno.


- Georges Canguilhem
Altro autore di riferimento nella discussione è stato George Canguilhem. Maestro di Foucault, nella sua opera “Il normale e il patologico” espone una critica stringente ad entrambi i concetti: continuamente, si entra e si esce dallo stato patologico, per cui definire lo stato di sano e di malato diventa impossibile. La normalità fisiologica non corrisponde allo stato di salute. Esiste una “polarità dinamica” in cui salute e malattia si confondono continuamente, e il soggetto malato è contemporaneamente portatore di entrambe le istanze.
Emerge il concetto di malattia come “errore”, di malattia originata da una casualità combinatoria, e di come questo cambi profondamente il rapporto con la malattia e con se stessi.
Inoltre, sottolinea la questione del bisogno di malattia: “il disturbo che nasce alla lunga dalla permanenza dello stato normale, la malattia che nasce dalla privazione di malattie … bisogno di malattia come prova della sanità … la minaccia della malattia è uno degli elementi che costituiscono la sanità.”


- Michel Foucault
Secondo Foucault, come individui, non possiamo sottrarci all'idea che ci sia un “normale” e un “non normale”, è nelle nostre categorie mentali, noi dividiamo il mondo in queste due categorie. Questo è un assoggettamento a cui non sappiamo sottrarci, ma che dobbiamo perlomeno problematizzare.

- Franco Basaglia
E' in questi temi che nell'esposizione si è inserito Franco Basaglia: l'utopia non l'ha solo pensata, ma l'ha fatta diventare pratica. Secondo lui l'istituzione del manicomio doveva essere distrutta: dovevano essere messi in crisi i suoi rappresentanti (soprattutto i medici) e la trasformazione di sé era in questo senso fondamentale per realizzare il cambiamento. Bisognava mettere tra parentesi la malattia e ritrovare l'uomo. Il trasformare se stessi mettendosi in crisi, l'essere imperfetti come fondamento della relazione con l'altro, esprime anche l'importanza del collettivo. La trasformazione di se stessi è la minima partenza per trasformare il reale. Basaglia, inoltre, era convinto che, avviato il processo di superamento dei manicomi, bisognava contaminare anche gli ospedali normali perché capiva che la prosecuzione naturale del discorso era quello.
Quale può essere dunque l'alternativa alla medicalizzazione diffusa? Emerge quindi il concetto di “clinica del legame sociale”, ossia “assunzione di una funzione terapeutica versatile adatta a mettersi accanto alla persona per accompagnarla nella comunità, lavorando sulle relazioni, sugli scambi, sulla rottura dell'isolamento e sulla inclusione, sulla negoziazione e sulla verbalizzazione dei conflitti: in definitiva, sulla crescita del capitale sociale di tutta la comunità.” (Colucci, “aut-aut” 340).
L'imperfezione suggerita da Basaglia non è ingenuità né grossolanità, ma il contrario: è una rinuncia consapevole. L'intento è mettere continuamente a confronto la società con i propri resti, e riappropriarsi del senso della propria malattia: i resti diventano risorse della comunità.

- Franca Basaglia
Chi maggiormente si era occupato di questi temi è stata la moglie di Basaglia, Franca, in particolare nel suo testo “Salute e malattia”. Franca Basaglia scriveva: “la malattia può acquistare significati diversi, diventando una risposta a ciò che la vita non è o non dà.” E ancora: “per noi, per la nostra cultura, la malattia è morte perché la vita continua ad essere rappresentata solo dalla salute assoluta.”


Gli spunti di riflessione conclusivi ci sono giunti dai meno noti Ehrenberg e Rose.

- Alain Ehrenberg
Ehrenberg approfondisce il tema della depressione per aprire una discussione sulla psichiatrizzazione della vita. Nel suo libro “La fatica di essere se stessi” l'autore si interroga sull'espansione della patologia depressiva negli ultimi anni e in che modo ci può rivelare i mutamenti dell'individualità dal secolo scorso.


- Nikolas Rose
Rose argomenta nel suo libro “La politica della vita” come l'investimento sulla medicalizzazione e sulla psichiatrizzazione non sia solo economico, ma anche politico, e su quanto sia facile il passaggio dall'aspetto scientifico a quello politico.



La "critica della normalità", il filone conduttore di tutto il ciclo di seminari, può sembrare un concetto antiquato, ma l'interesse nel riproporlo consiste non nel ritorno a una realtà storica e culturale già passata, bensì nello stimolare un rapporto migliore con la storia recente. E per restituire alle storie personali il senso di appartenenza comune, solidale e consapevole.

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