giovedì 19 dicembre 2013

Primo, non curare chi è normale. Contro l'invenzione delle malattie - Frances Allen

Per il prossimo incontro si propone di imbastire qualcosa sulla discussa pubblicazione del nuovo DSM. Il titolo proposto è "Primo, non curare chi è normale" un j'accuse/mea culpa scritto da un pulpito d'eccezione: Francis Allen ha diretto la redazione del DSM-IV.

Dalla quarta di copertina:
"Considerato dagli psichiatri di tutto il mondo il testo imprescindibile di riferimento, il DSM (Diagnostic and Statistical Manual), pubblicato dalla American Psychiatric Association e tradotto in decine di lingue, è la fonte primaria che definisce il limite tra ciò che è normale e ciò che è patologico in relazione alla psiche. Passato attraverso quattro edizioni, il manuale è giunto ora alla quinta stesura, il DSM-5, ma questa volta la pubblicazione ha scatenato feroci e allarmanti polemiche. A capo dei critici più agguerriti si trova Allen Frances, l'autore di questo libro, scienziato autorevole e psichiatra tra i più apprezzati, che sa bene di cosa parla, dal momento che proprio lui aveva diretto la redazione del precedente DSM-IV. Secondo la sua analisi, precisa e convincente, la nuova edizione del manuale diagnostico rischia di fare più male che bene. L'impostazione del volume allarga infatti a tal punto lo spettro delle patologie psichiche da lasciare ben poco spazio alla "normalità", che quasi scompare. Siamo tutti malati: un regalo alle industrie degli psicofarmaci e una resa di fronte alla crescente medicalizzazione della società, divenuta sempre meno capace di gestire serenamente fenomeni comuni, che sono sempre esistiti, come il lutto, l'invecchiamento o la naturale vivacità dei giovani. Si moltiplicano invece le diagnosi di patologie per ogni comportamento, perdendo in questo modo la visione pluralista dell'universo psichico e forse condannando in futuro milioni di persone a cure non necessarie."

martedì 12 novembre 2013

Lo psichiatra come cittadino del mondo - Giovanni Stanghellini

"Questa questione, tanto appassionante quanto enigmatica, è forse destinata a rimanere una perenne fonte di disaccordo. Da un lato ci sono coloro che radicalizzano l’idea che gli psichiatri debbano essere visti (o divenire) membri della comunità biomedica, e che debbano quindi ridefinire le loro conoscenze scientifiche (principalmente nel campo delle neuroscienze) e le competenze tecniche. Dall’altro lato ci sono coloro i quali rigettano la precedente opinione ed abbracciano invece la posizione che vede la Psichiatria come una ‘disciplina umanistica’.
Questa controversia, come appare chiaro, è comunque astratta e sterile. Tutti gli psichiatri clinici sono ben consapevoli di quanto entrambi i tipi di conoscenza siano necessari alla pratica (e qualche volta alla sopravvivenza) della psichiatria (3**). Nella realtà dei fatti i percorsi formativi in psichiatria sono più orientati verso il primo tipo di percorso. La crescita delle neuroscienze, anche se non ha prodotto ancora conoscenze rilevanti nel campo delle spiegazioni causali, della classificazione e della diagnosi dei disturbi mentali, ha senza dubbio contribuito alla definizione di trattamenti biologici convenienti in base al rapporto costi-benefici. Un’altra questione molto importante è che la ricerca pubblicata, che rappresenta la seconda maggiore fonte di formazione per gli psichiatri (e la prima come formazione continua in Medicina), di laboratorio piuttosto che clinica, troppo spesso non è collegata al mondo di fuori, in generale, e alla clinica, in particolare (si veda, ad esempio, 4*). Inoltre, gli psichiatri praticanti non partecipano che raramente allo sviluppo della conoscenza psichiatrica, se uno dovesse giudicare dalle pubblicazioni, e il divario tra praticanti e ricercatori sembra così crescere senza controllo. È comune esperienza sentir dire dagli psichiatri praticanti che semplicemente non comprendono, e sono tentati anche di definire irrilevanti (o, almeno, clinicamente irrilevanti), le ricerche pubblicate nelle riviste psichiatriche. Uno sarebbe tentato quindi di unirsi al partito della Psichiatria come Scienza Umana e attaccare polemicamente la fazione della Psichiatria come Neuroscienza. Come il filosofo Martin Heidegger (5) avrebbe affermato circa un secolo fa, in un tempo di stupefacente progresso scientifico come il nostro, la scienza ci può rendere edotti d’ogni sorta di dettagli interessanti sulla natura umana, ma non può risolvere in ogni caso il problema riguardante l’essere umano. Gli psichiatri praticanti conoscono molto bene ciò che, da entrambi i lati, sia i ricercatori psichiatrici che i teorici tendono a dimenticare, e cioè che per attraversare i territori della malattia mentale senza perderci abbiamo bisogno di una conoscenza scientifica dell’umano come di una cultura finemente sintonizzata sull’umano. Abbiamo bisogno di una concezione più ricca della formazione.
[...] Studiare la psichiatria e praticarla è una opportunità unica per sviluppare la propria sensibilità per la complessità e la diversità dell’umana esistenza, la propria capacità di comprendere le altre persone, per divenire tollerante e convivere con esse, e aiutare infine le altre persone a essere tolleranti e coesistere con il diverso – e più in generale per preservare l’apertura di ognuno a ciò che l’altro è, ed essere capaci di immaginare simpateticamente l’altrui esperienza. Portare le Scienze Umane in Psichiatria non è l’affermazione anacronistica di un ideale elitario di istruzione. Gli psichiatri potranno contribuire alla fondazione di cittadinanza se riusciranno a superare del tutto il loro antico mandato sociale: il controllo sociale e la normalizzazione attraverso strategie di riduzione del sintomo. Gli psichiatri potranno così aiutare i cittadini a guardare il mondo attraverso la lente della vulnerabilità umana, a evitare la marginalizzazione e la stigmatizzazione, sviluppando così tolleranza e compassione. Per sviluppare queste virtù, naturalmente, i percorsi formativi basati sull’apprendimento di conoscenze e capacità cliniche potrebbero non essere sufficienti. Coltivare il proprio sé è una forma di completamento nel percorso di apprendimento di parte dei propri strumenti professionali. Questo è il posto che spetta alla formazione umanistica nel curriculum degli psichiatri."
Da Stanghellini G, "Lo psichiatra come cittadino del mondo" in Andersch N, Cutting J, Schizofrenia e malinconia. Implicazioni psicopatologiche e filosofiche. Ed. Fioriti 2013

Qui c'è il testo completo del prof. Stanghellini.

mercoledì 6 novembre 2013

LSD, il mio bambino difficile. Riflessioni su droghe sacre, misticismo e scienza. - Albert Hofmann

Albert Hofmann nacque a Baden (Svizzera) nel 1906, e si laureò presso l'Università di Zurigo in chimica. Dopo aver ricevuto il dottorato per aver condotto importanti ricerche sulla struttura chimica della chitina, Hoffman si unì al dipartimento chimico-farmaceutico dei Laboratori Sandoz, dove ebbe l'occasione di studiare le piante medicinali Scilla Marina e Segale Cornuta all'interno di un programma per purificare e sintetizzare i principi attivi per l'uso farmaceutico.
Le sue ricerche sull'acido lisergico, il componente comune centrale degli alcaloidi della Claviceps Purpurea o segale cornuta (un ascomiceta che cresce sulla segale), condussero finalmente alla sintesi dell'LSD-25 (dextro lysergyc acid diethylamyde tartrate 25) o dietilamidetartrato 25. Circa cinque anni dopo, ripetendo la sintesi della sostanza, Hofmann scoprì casualmente gli effetti dell'LSD e iniziò una serie di autosperimentazioni.
Divenne quindi direttore del dipartimento di prodotti naturali della Sandoz e continuò studiando le sostanze psichedeliche trovate nei funghi messicani e in altre piante utilizzate dagli aborigeni. Questo portò alla sintesi della psilocibina. Hofmann si interessò anche ai semi della Rivea Corymbosa e scoprì che i semi di tale pianta, chiamati Ololiuhqui, contenevano diversi amidi dell'acido lisergico, compresa l'ergobasina. 
Nel 1962 lui e sua moglie Anita si spostarono in Messico alla ricerca della Ska Maria Pastora più tardi conosciuta come Salvia divinorum. Fu capace di ottenere campioni di questa pianta ma non riuscì mai a isolarne il principio attivo.
Hoffman era membro del Comitato per il Nobel, socio dell'Accademia Mondiale delle Scienze , membro della Società Internazionale sulla Ricerca delle Piante e della Società Americana Farmaceutica.
Scrisse oltre 100 articoli scientifici e collaborò e scrisse diversi libri, tra cui LSD, My Problem Child (LSD; il mio bambino difficile).
Nell'ottobre 2007 è stato inserito nella classifica dei 100 Geni Viventi.
Si è spento il 29 aprile 2008 nella sua casa di Burg im Leimental, nei pressi di Basilea all'età di 102 anni.
DALLA PREFAZIONE DEL LIBRO LSD; il mio bambino difficile: 
"Sebbene l'Lsd abbia già compiuto mezzo secolo, è tuttora dominante presso l'opinione pubblica un'idea errata circa questo principio attivo psicotropo. Questo libro dell'inventore dell'acido lisergico contribuisce a fare chiarezza. "Ci sono esperienze di cui la maggior parte delle persone evita di parlare perché non si conformamo alla realtà quotidiana e sfidano ogni spiegazione razionale. Non sono eventi esterni particolari, bensì accadimenti delle nostre vite interiori, che vengono generalmente respinti come creazioni della nostra fantasia ed esclusi dalla memoria. L'immagine familiare del nostro mondo subisce d'improvviso una trasformazione insolita, stupefacente o allarmante; la realtà ci appare in una nuova luce, assume un significato particolare. Esperienze del genere possono essere leggere e fugaci come un soffio d'aria, oppure fissarsi profondamente nelle nostre coscienze. In questo libro desidero offrire un quadro completo dell'Lsd, della sua origine, dei suoi effetti e delle sue possibilità d'impiego; nonché avvertire dei pericoli che sono associati a un consumo che non tenga conto della natura straordinaria dell'azione di questa sostanza. La sinergia tra visione scientifica del mondo, dimensione spirituale delle configurazioni viventi e pratiche meditative, potrebbe restituirci la sicurezza smarrita".
Letture correlate:
Le porte della percezione, A. Huxley
Le confessioni di un oppiomane, T. De Quincey
Esperienza di autointossicazione con la mescalina, G.E. Morselli
Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza, E. Jünger

martedì 1 ottobre 2013

Sud e Magia - Ernesto De Martino

Ernesto De Martino  (1908-1965) è stato uno storico delle religioni e antropologo di origine napoletana che, nel secondo dopoguerra, affrontava il problema dei poteri magici, nel senso delle tradizioni popolari e dei modelli di religiosità delle classi subalterne. L’interesse nei confronti della psicologia, della psichiatria e della psicoanalisi, gli ha permesso di addentrarsi all’interno di campi come il folklore la magia o il rituale con una metodologia innovativa e originale. De Martino, per primo in Italia, ha esplorato quegli ambiti che costituiscono il cuore della riflessione etnopsichiatrica : il senso della crisi e la funzione reintegratrice dei miti, il rapporto fra sofferenza e strategie magico-rituali, il modello di efficacia terapeutica nelle tradizioni mediche popolari, il significato dei culti di possessione e dello sciamanesimo, l’esperienza del cordoglio e la sua modulazione popolare al fine di dare un “orizzonte al discorso” (Beneduce, 2007). Particolarmente importante e innovativa è la sua inaugurazione dell'indagine interdisciplinare, che rimarrà come un'acquisizione ed un'esigenza definitiva negli studi etno-antropologici, e che egli adottò soprattutto nello studio del tarantismo pugliese, con l'unione in un'unica èquipe di uno psichiatra, di una psicologa, oltre allo storico delle religioni, a un'antropologa culturale, all'etnomusicologo e al documentarista cinematografico. Poche altre riflessioni di quegli anni possono rivendicare lo stesso rigore e la stessa sensibilità nel misurarsi con il significato esistenziale e storico della crisi e della malattia mentale. 

Pubblicata nel 1959 come seconda parte della trilogia dedicata alla descrizione dei riti magico-religiosi nelle regioni meridionali – Morte e pianto rituale nel mondo antico apparso un anno prima e La terra del rimorso del 1961 – l’opera Sud e Magia propone un’interpretazione della sfera magica che, superando i confini dell’indagine territoriale, esamina le reazioni degli individui di fronte al negativo che irrompe nella storia. La dimensione magica, come del resto la mitologia e la religione, offrono agli uomini un rifugio sicuro ponendosi, come ordine superiore  e metastorico, al riparo dai pericoli prodotti dal divenire storico. Secondo Galimberti (che ha curato la prefazione della più recente edizione Feltrinelli) nell’interpretazione demartiniana la protezione magica assolve ad una duplice funzione: da un lato garantisce un orizzonte rappresentativo stabile capace di assorbire la negatività del negativo e dall’altro relativizza il processo di destorificazione del divenire. In tal modo si delinea un «quadro mitico di forze magiche, di fascinazioni e possessioni, di fatture e di esorcismi, che istituzionalizza la figura di operatori magici specializzati».

Trovate un video su De Martino realizzato da RaiStoria qui.

Bibliografia:
Beneduce R., Etnopsichiatria, Carocci Ed. 2007.
Galimberti U., Prefazione a De Martino, E. Sud e Magia, Feltrinelli 2008.

mercoledì 7 agosto 2013

Oltre l'identità sessuale. Teorie queer e corpi transgender - Flavia Monceri

Il libro scelto per il prossimo incontro è "Oltre l'identità sessuale. Teorie queer e corpi transgender" di Flavia Monceri.

L'autrice, professoressa di filosofia politica presso l'Università del Molise, con questo saggio si pone l'obiettivo di fare chiarezza su quali sono attualmente le "definizioni" con cui identifichiamo le differenze di sesso, genere e sessualità, muovendo una critica alle rigide dicotomie (quali maschio/femmina, uomo/donna, omosessualità/eterosessualità) che tutt'oggi pervadono il mondo accademico. Questo è il principale proposito delle "teorie queer", sviluppatesi con forte intento polemico a partire dall'inizio degli anni '90 nel contesto degli studi di genere e delle teorie femministe. La crisi dei costrutti che definiscono l'identità sessuale si riverbera peraltro sull'inquadramento diagnostico delle manifestazioni di disagio che riguardano la sfera della sessualità, nonché le disabilità che ne derivano.

sabato 18 maggio 2013

Paranoia - Luigi Zoja

Questa mattina si è tenuta a Verona, presso la Biblioteca Civica, la presentazione del libro "Paranoia - La follia che fa la storia", del professor Luigi Zoja, in dialogo con il professor Vittorino Andreoli.

Luigi Zoja, psicoanalista junghiano, già presidente del CIPA (Centro Italiano di Psicologia Analitica) e della IAAP (International Association for Analytical Psychology), ha lavorato in passato a Zurigo e a New York. Larga parte dei suoi lavori, tradotti in 14 lingue, interpretano vari comportamenti problematici del giorno d'oggi (dipendenze, consumismo sfrenato, assenza di una figura paterna, la proiezione in politica di odio e paranoia...) alla luce di miti, testi letterari e tematiche archetipiche.

In questo suo ultimo libro, il professor Zoja esplora la figura del paranoico e come questa follia "lucida" fuoriesce dalla patologia individuale e contagia la massa: la paranoia imprime il proprio marchio sulla storia, dall'olocausto dei nativi americani alla Grande Guerra, ai pogrom, ai mostruosi totalitarismi del Novecento, alle recenti guerre preventive delle democrazie mature.

Trovate un'intervista sul libro al professor Zoja seguendo questo linkYouTube

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sabato 11 maggio 2013

Deliri - Antonella Moscati

Ieri è stata ospite presso il nostro Servizio la scrittrice e filosofa Antonella Moscati, in un dialogo con la dott.ssa Faccincani sull'esperienza della psicosi, presentata nel libro "Deliri". Uno dei testi tra le proposte per i nostri incontri.

Trovate il commento della dott.ssa Faccincani qui

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mercoledì 10 aprile 2013

Indagine su un'epidemia - Robert Whitaker

Ieri è stato ospite presso il nostro Servizio il giornalista Robert Whitaker con il suo nuovo libro in uscita "Indagine su un'epidemia - Lo straordinario incremento delle disabilità psichiatriche nell'epoca della diffusione degli psicofarmaci".

Robert Whitaker è un giornalista americano vincitore di numerosi premi come giornalista medico-scientifico. E' stato direttore del Centro per le pubblicazioni della Harvard Medical School. Nel 1998 è stato coautore di una serie di ricerche psichiatriche per il Boston Globe, finaliste nel 1999 al Premio Pulitzer per la stampa sui servizi sanitari.
Nel 2002 ha pubblicato sul USA Today un articolo dal titolo "Mind drugs may hinder recovery". Del 2004 è il suo articolo su Medical Hypotheses intitolato "The case against antipsychotic drugs: a 50-year record of doing more harm than good". Nel 2005 ha pubblicato il lavoro "Anatomy of an Epidemic: Psychiatric Drugs and the Astonishing Rise of Mental Illness in America" su Ethical Human Psychology and Psychiatry.
Con questo suo ultimo libro, che prosegue questa tematica di ricerca, ha vinto il Premio per il miglior giornalismo investigativo nel 2010 negli Stati Uniti.

Il libro di Robert Whitaker è stato evidentemente accolto da giudizi contrastanti, che tuttavia aprono un dibattito importante sui valori e sui fondamenti della nostra disciplina. Come si inseriscono i farmaci in un'ottica di de-istituzionalilzzazione? Qual è il rapporto rischi e benefici di un trattamento psicofarmacologico a lungo termine? Qual è il peso delle industrie farmaceutiche nello sviluppo e nella diffusione di tali trattamenti?
Ma parimenti, con le riflessioni di Whitaker non c'è anche il pericolo di alimentare paure antipsichiatriche prive di fondamento e facilmente strumentalizzabili?

Qui trovate indice e prefazione al libro. Di seguito, il banner per acquistarlo su Amazon.

giovedì 7 febbraio 2013

Modernità liquida - Zygmunt Bauman

Il libro che abbiamo scelto assieme per il prossimo incontro è "Modernità Liquida" di Zygmunt Bauman.

Trovate una recensione qui.

Se comprate il libro attraverso il banner fate un'opera di bene sponsorizzando, senza spese, il prosecco per i prossimi incontri.


L'Io diviso - R.D. Laing

La prima opera che abbiamo affrontato è stata "L'Io diviso" di R.D. Laing.

"L'io diviso" è il primo libro di Laing, scritto all'età di 28 anni. 
Quello che viene considerato il padre dell'antipsichiatria vi ha presentato la propria teoria della schizofrenia. Il risultato è un libro conciso e diretto, in alcune parti denso ma sempre interessante e, per la maggior parte, rilevante anche a livello clinico. L'autore prova a riconsiderare la psicosi come una reazione comprensibile a pressioni insostenibili poste sul paziente dalle persone che lo circondano. Prendendo spunto dalla filosofia esistenziale e dalla fenomenologia ha tentato di dimostrare la presenza di un significato anche nella psicosi o, per parafrasare Karl Jaspers, ha tentato di rendere comprensibile ciò che, per definizione, è incomprensibile.

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Apertura blog

Udite udite!
Finalmente abbiamo un vero blog per raccogliere i libri che leggeremo nel nostro sobrio gruppo di lettura.
Foto - la libreria di Freud.