martedì 12 novembre 2013

Lo psichiatra come cittadino del mondo - Giovanni Stanghellini

"Questa questione, tanto appassionante quanto enigmatica, è forse destinata a rimanere una perenne fonte di disaccordo. Da un lato ci sono coloro che radicalizzano l’idea che gli psichiatri debbano essere visti (o divenire) membri della comunità biomedica, e che debbano quindi ridefinire le loro conoscenze scientifiche (principalmente nel campo delle neuroscienze) e le competenze tecniche. Dall’altro lato ci sono coloro i quali rigettano la precedente opinione ed abbracciano invece la posizione che vede la Psichiatria come una ‘disciplina umanistica’.
Questa controversia, come appare chiaro, è comunque astratta e sterile. Tutti gli psichiatri clinici sono ben consapevoli di quanto entrambi i tipi di conoscenza siano necessari alla pratica (e qualche volta alla sopravvivenza) della psichiatria (3**). Nella realtà dei fatti i percorsi formativi in psichiatria sono più orientati verso il primo tipo di percorso. La crescita delle neuroscienze, anche se non ha prodotto ancora conoscenze rilevanti nel campo delle spiegazioni causali, della classificazione e della diagnosi dei disturbi mentali, ha senza dubbio contribuito alla definizione di trattamenti biologici convenienti in base al rapporto costi-benefici. Un’altra questione molto importante è che la ricerca pubblicata, che rappresenta la seconda maggiore fonte di formazione per gli psichiatri (e la prima come formazione continua in Medicina), di laboratorio piuttosto che clinica, troppo spesso non è collegata al mondo di fuori, in generale, e alla clinica, in particolare (si veda, ad esempio, 4*). Inoltre, gli psichiatri praticanti non partecipano che raramente allo sviluppo della conoscenza psichiatrica, se uno dovesse giudicare dalle pubblicazioni, e il divario tra praticanti e ricercatori sembra così crescere senza controllo. È comune esperienza sentir dire dagli psichiatri praticanti che semplicemente non comprendono, e sono tentati anche di definire irrilevanti (o, almeno, clinicamente irrilevanti), le ricerche pubblicate nelle riviste psichiatriche. Uno sarebbe tentato quindi di unirsi al partito della Psichiatria come Scienza Umana e attaccare polemicamente la fazione della Psichiatria come Neuroscienza. Come il filosofo Martin Heidegger (5) avrebbe affermato circa un secolo fa, in un tempo di stupefacente progresso scientifico come il nostro, la scienza ci può rendere edotti d’ogni sorta di dettagli interessanti sulla natura umana, ma non può risolvere in ogni caso il problema riguardante l’essere umano. Gli psichiatri praticanti conoscono molto bene ciò che, da entrambi i lati, sia i ricercatori psichiatrici che i teorici tendono a dimenticare, e cioè che per attraversare i territori della malattia mentale senza perderci abbiamo bisogno di una conoscenza scientifica dell’umano come di una cultura finemente sintonizzata sull’umano. Abbiamo bisogno di una concezione più ricca della formazione.
[...] Studiare la psichiatria e praticarla è una opportunità unica per sviluppare la propria sensibilità per la complessità e la diversità dell’umana esistenza, la propria capacità di comprendere le altre persone, per divenire tollerante e convivere con esse, e aiutare infine le altre persone a essere tolleranti e coesistere con il diverso – e più in generale per preservare l’apertura di ognuno a ciò che l’altro è, ed essere capaci di immaginare simpateticamente l’altrui esperienza. Portare le Scienze Umane in Psichiatria non è l’affermazione anacronistica di un ideale elitario di istruzione. Gli psichiatri potranno contribuire alla fondazione di cittadinanza se riusciranno a superare del tutto il loro antico mandato sociale: il controllo sociale e la normalizzazione attraverso strategie di riduzione del sintomo. Gli psichiatri potranno così aiutare i cittadini a guardare il mondo attraverso la lente della vulnerabilità umana, a evitare la marginalizzazione e la stigmatizzazione, sviluppando così tolleranza e compassione. Per sviluppare queste virtù, naturalmente, i percorsi formativi basati sull’apprendimento di conoscenze e capacità cliniche potrebbero non essere sufficienti. Coltivare il proprio sé è una forma di completamento nel percorso di apprendimento di parte dei propri strumenti professionali. Questo è il posto che spetta alla formazione umanistica nel curriculum degli psichiatri."
Da Stanghellini G, "Lo psichiatra come cittadino del mondo" in Andersch N, Cutting J, Schizofrenia e malinconia. Implicazioni psicopatologiche e filosofiche. Ed. Fioriti 2013

Qui c'è il testo completo del prof. Stanghellini.

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